IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 10098/2005, promossa da Giovanni Magno, elettivamente domiciliato in Napoli, viale Gramsci n. 16, presso lo studio dell'avv. Sergio Turturiello, che lo rappresenta e difende per mandato a margine dell'atto di citazione, ricorrente; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, presso i cui uffici per legge domiciliano in Napoli, alla via Armando Diaz n. 11, resistenti, avente ad oggetto: riconoscimento dei benefici ex legge n. 106/2004. Il giudice, letti gli atti, osserva. In fatto Con ricorso depositato in 22 marzo 2005, Giovanni Magno, premesso che il 23 dicembre 1984 si trovava a bordo del treno rapido 904, oggetto di un attacco terroristico nella grande galleria dell'appennino tra Verino e S. Benedetto nel corso del quale 15 persone persero la vita e ne rimasero ferite altre 268; che a seguito di tale evento, in data 29 settembre 1992, per il persistere di una dolenzia al rachide dorsale e di una sindrome ansiosa depressiva, era stato sottoposto a visita medica collegiale dalla CMO di Caserta, che gli aveva riconosciuto il persistere di turbe ansiose con esiti di contusione del rachide dorsale, accertando un'invalidita' lavorativa pari al 30%; che tale valutazione era stata confermata dal collegio medico legale del Ministero della difesa il 16 giugno 1994; che su tali basi aveva ottenuto il riconoscimento della speciale elargizione, pari a circa 26.000 euro, prevista dalla legge n. 302/1990; che, tuttavia, tali somme non erano adeguatamente riparatorie; che la legge n. 206/2004 aveva riconosciuto alle vittime del terrorismo ulteriori benefici, tra cui la possibilita' di ottenere l'elargizione prevista dalla legge n. 302/1990 commisurando l'invalidita' riportata in ragione di Euro 2.000,00 per ogni punto percentuale, e la possibilita' di ottenere la rivalutazione delle percentuali di invalidita' riconosciute tenendo conto dell'eventuale aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale; che nel caso di specie occorreva tener conto anche del danno esistenziale; cio' premesso, ha chiesto che il tribunale, fissata l'udienza, accertasse il diritto della Angelini a percepire la somma prevista dalla legge n. 302/1990 a seguito del ricalcolo effettuato secondo i parametri previsti dalla legge n. 206/2004, dichiarando il diritto ad ottenere le somme che fossero risultate dovute per effetto della rivalutazione in considerazione anche del danno biologico, morale ed esistenziale, e che condannasse, per l'effetto, la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero dell'interno alla corresponsione delle somme dovute, oltre che al pagamento delle spese di lite. Fissata l'udienza di comparizione, si sono costituite le amministrazioni resistenti che, premesso che il ricorso era inammissibile, in quanto tardivo, essendo stato proposto oltre il termine di sei mesi fissato dalla legge n. 206/2004; che, ancora, nel merito, mancavano i presupposti previsti dalla citata normativa, dal momento che il ricorrente non aveva prodotto la documentazione indicata dall'art. 11, presupposto per il conseguimento della rivalutazione, rendendo di conseguenza non agevole neanche il diritto di difesa delle amministrazioni; che infine in alcun caso poteva essere accolta la richiesta di rivalutazione delle somme dovute in forza del c.d. danno esistenziale, posto che la legge n. 206 contempla unicamente il danno biologico e morale; tutto cio' premesso, ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, perche' tardivo; in subordine, per il rigetto nel merito dell'avverso ricorso. Nel corso della prima udienza il giudice, ritenute le eccezioni preliminari sollevate dalle amministrazioni resistenti astrattamente idonee a definire il giudizio, ha fissato l'udienza per le conclusioni, nel corso della quale le parti si sono riportate ai rispettivi atti, eccependo tra l'altro la ricorrente l'incostituzionalita' della legge n. 206/2004 relativamente al termine per la proposizione della domanda; il giudice si e' quindi riservato di decidere, assegnando alle parti termini per memorie, applicando analogicamente il disposto dell'art. 190 c.p.c. In diritto Va sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge n. 206/2004. La legge in oggetto attribuisce alle vittime del terrorismo o ai loro congiunti una serie di benefici, ad integrazione di quelli gia' riconosciuti da precedenti leggi. Tra gli altri, gli artt. 5 e 6 fissano la misura delle elargizioni previste dalla legge n. 302/1990, determinano l'entita' di uno speciale assegno vitalizio, consentono l'erogazione in favore dei congiunti superstiti aventi diritto alla pensione di reversibilita' di due annualita' di pensione ed attribuiscono il diritto alla rivalutazione di tutti i precedenti benefici tenendo conto dell'eventuale intercorso aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale. Gia' da un punto di vista sostanziale, non pare del tutto chiaro il senso di una rivalutazione (che parrebbe una mera operazione aritmetica di adeguamento) che implichi anche la considerazione di ulteriori voci di danno. Il dubbio di legittimita' costituzionale, pero', sorge, ad avviso di questo giudice, in relazione alle modalita' che il legislatore ha fissato per la realizzazione dei diritti che ha inteso attribuire alle vittime del terrorismo. Ed infatti, la citata legge configura un doppio binario di tutela, l'uno amministrativo (artt. 13 e 14) e l'altro giurisdizionale (artt. 11 e 12). In via amministrativa, la legge prevede innanzitutto che «la competente amministrazione dello Stato, anche prima dell'inizio di azioni giudiziarie o amministrative, d'ufficio o su richiesta di parte, puo' offrire alla vittima... agli eredi una somma a titolo di definitiva liquidazione che, in caso di accettazione, e' preclusiva di ogni altra azione, costituendo ad ogni effetto transazione» (art. 13). In ogni caso, ed a prescindere dunque dai tentativi per giungere ad una bonaria soluzione «il riconoscimento delle infermita', il ricalcolo dell'avvenuto aggravamento ai sensi dell'art. 6 e delle pensioni, nonche' ogni liquidazione economica in favore delle vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice devono essere conclusi entro il termine di quattro mesi dalla presentazione della domanda da parte dell'avente diritto alla prefettura - ufficio territoriale del Governo...» (art. 14). Dunque, se ben si intende, gli interessati, a prescindere da eventuali soluzioni transattive, possono presentare, e senza limiti di tempo, formali domande alle Prefetture che dovranno rispondere entro quattro mesi. Nulla dice la legge in relazione ad eventuali controversie che possano originare da possibili dinieghi o accoglimenti parziali ad opera dell'ufficio territoriale di Governo: ma cio' non rileva in questa sede. Cio' che importa, invece, e' che gli artt. 11 e segg. dettano (in modo anche qui non del tutto chiaro) un procedimento (che configura un ennesimo rito civile a se stante, con regole sue proprie) evidentemente per il riconoscimento di quegli stessi benefici, ed in particolare - come nel caso di specie - per il riconoscimento della rivalutazione delle prestazioni gia' in precedenza accordate secondo quanto previsto dagli artt. 5 e 6. Ma, a differenza di quanto previsto per le richieste in via amministrativa, per il procedimento giurisdizionale e' fissato un termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. La questione che si intende sottoporre a codesta Corte appare rilevante nel caso di specie, in quanto la difesa dell'amministrazione convenuta ha ritualmente eccepito la tardivita' dell'azione instaurata, dal momento che, pubblicata la legge in data 11 agosto 2004 ed entrata in vigore il successivo 26 agosto, il ricorso e' stato depositato in cancelleria il successivo 22 marzo 2005, e dunque oltre il termine di legge (anche a voler far decorrere il termine con esclusione del periodo di sospensione feriale). A nulla vale osservare, come fa il ricorrente negli scritti conclusivi, che il termine in questione non e' qualificato dalla legge come perentorio la distinzione fissata dal codice di rito, agli artt. 152 e segg. tra termini perentori ed ordinatori e', infatti, finalizzata solo a determinare l'improrogabilita' dei primi a fronte della prorogabilita' dei secondi, ma solo prima della loro scadenza, caso che qui, evidentemente, non ricorre. Cio' di cui si dubita e' che la previsione di un sistema a doppio binario, con due strumenti alternativi di tutela, l'uno amministrativo, da instaurare senza termini espliciti per l'interessato, e l'altro giurisdizionale, sottoposto invece ad un ristrettissimo termine per l'instaurazione del procedimento innanzi al giudice civile, sia compatibile con gli artt. 24 e 3 Cost. In particolare, poiche' non pare desumersi dalla legge alcuna graduazione tra gli strumenti attribuiti per conseguire i benefici accordati; e poiche' in particolare non pare dubitabile che le vittime delle stragi terroristiche o i loro congiunti possano rivolgersi direttamente al giudice, senza percorrere un preventivo iter amministrativo (cosa che del resto sarebbe impossibile a fronte di termini di azione cosi' ridotti); sussiste ad avviso di questo giudice un dubbio circa la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del meccanismo congegnato dal legislatore in ordine ai tempi di accesso al giudice civile. In sostanza, il legislatore si e' indotto a riconoscere una serie di benefici ad una categoria di cittadini particolarmente provati da tristi e gravi vicende che, a partire dal 1° gennaio 1961 (cfr. art. 15), hanno sconvolto la vita civile e democratica del Paese; ma, con una legge approvata in pieno periodo estivo ed a distanza anche di 43 anni dai fatti, ha subordinato la possibilita' concreta di riconoscimento di siffatti benefici ad un'azione da intraprendere entro un termine irragionevolmente breve (da cio' il riferimento anche all'art. 3 Cost. ed al canone generale di ragionevolezza), tale da rendere di fatto, se non impossibile, quanto meno molto difficile la proposizione della domanda e, dunque, la tutela giudiziaria dei propri diritti. Tanto premesso in fatto e diritto, non ravvisandosi la possibilita' di superare, in via interpretativa, il cennato dubbio attraverso diverse soluzioni, vista l'univocita' del termine fissato dal legislatore, va disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisone sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.